Il problema della disoccupazione giovanile

Come collegare i giovani al mercato del lavoro?

I dati pubblicati negli ultimi giorni dall’OCSE e relativi ai tassi di disoccupazione giovanile (ovvero persone da 15 a 24 anni)  non devono solo allarmarci per l’impatto devastante che l’esclusione dei giovani dal mondo del lavoro avrà sul futuro della crescita, ma devono anche servire per spronare in modo definitivo schemi di collegamento tra istruzione, formazione e lavoro con particolare attenzione a programmi di apprendistato e training-on-the job. L’Italia, secondo l’OCSE, è ormai prossima ad avere un tasso di disoccupazione giovanile (25,4%) di quattro volte superiore al tasso di disoccupazione della restante parte della popolazione attiva (primato che condividiamo con Svezia, Finlandia, Nuova Zelanda e Lussemburgo come si evince dalla figura qui sotto).youth_unemployment.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(qui la versione originale della figura)

Il dato italiano come sempre maschera una profonda divisione tra Nord e Sud, con le regioni del Mezzogiorno che presentano tassi di disoccupazione giovanili particolarmente drammatici e ben sopra la media UE.

Il dato territoriale non è però affatto omogeneo come attesta la presenza di province con elevati balzi in avanti nella disoccupazione giovanile anche in Emilia Romagna.

Come ricordato in un recente paper a cura dell'OCSE (Rising Youth Unemployment During The Crisis HOW TO PREVENT NEGATIVE LONG-TERM CONSEQUENCES ON A GENERATION? Stefano Scarpetta, Anne Sonnet, Thomas Manfredi, Aprile 2010) la disoccupazione giovanile è maggiormente sensibile alla contrazione del ciclo economico anche a causa di un preponderante presenza di occupazione a tempo determinato per quella fascia di popolazione attiva.

Nello stesso lavoro si evidenziano due dati su cui riflettere per il caso italiano: 1) l'Italia è l'unico paese OCSE in cui il tasso di occupazione giovanile (15 - 29) sia maggiormente correlato a titoli di studio secondari, piuttosto che avanzati (laurea e dottorato); 2) l'Italia è tra i primi 10 paesi OCSE che hanno visto aumentare maggiormente il tasso di precarietà (lavori a tempo determinato) dal 1998 al 2008 (dal 25% al 48%).
Agisce dunque sul mercato del lavoro giovanile sia il tipo di struttura economica poco propensa a figure formate a livello universitario (si guardino recenti analisi Excelsior a livello regionale per questo), sia la riforma del mercato del lavoro. Sarebbe però errato trarne considerazioni affrettate.

Ci sono infatti altri due dati rivelatori: 1) la Germania, presa spesso a riferimento per il successo del proprio "sistema duale" di formazione professionale, ha un tasso di precarietà superiore a quello italiano (quasi il 60% nel 2008); 2) è provata la maggiore probabilità di approdare ad un lavoro stabile se si arriva da un'occupazione precaria, che in qualche modo garantisce una qualche forma di collegamento con il mercato del lavoro e mantiene il giovane formato, piuttosto se si arriva da un periodo di inattività.

Azioni di orientamento, apprendistato, tirocinio ed azioni che mirino a tenere il più possibile i giovani collegati al mondo del lavoro diventano dunque fondamentali.
Il rischio altrimenti è che si ampli quella parte di popolazione giovanile completamente avulsa da qualsiasi forma di occupazione, formazione e istruzione: l'Italia è il terzo paese OCSE, dopo Turchia e Messico ad avere la più alta percentuale di giovani completemante inattivi.
In un momento in cui ci si interroga sulle possibilità di crescita del paese, fare una scommessa sul futuro del capitale umano è decisivo. Vanno in questa direzione i meccanismi di ridefinizione del ruolo degli Istituti Tecnici superiori e meccanismi anche su base territoriale di collegamento tra scuola, università e imprese.