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Crisi di filiera, crisi globali e strabismi locali: il caso di Forlì-Cesena

Non ci aspettavamo un inizio di anno all’insegna dell’ottimismo economico. E sin qui le aspettative non hanno deluso. La UIL ci ha appena ricordato che la provincia di Forlì-Cesena detiene il triste primato della cassa integrazione in Romagna. In Regione vanno peggio Bologna e Piacenza. E’ difficile dissezionare un dato che porta con se l’infelicità di centinaia di lavoratori e di famiglie. E utile tuttavia almeno provare a realizzare un’analisi molto obiettiva della situazione economica del territorio di Forlì-Cesena all’inizio di questo infausto 2009, anche per ipotizzare lo spazio di manovra per politiche locali. 

Analizzando i dati recentemente resi disponibili dall’INPS attraverso un raffronto tra il 2007 ed il 2008 della cassa integrazione ordinaria (che spetta imprese industriali per eventi temporanei e per situazioni temporanee di mercato) e quella e straordinaria (che spetta in caso di ristrutturazione, di riorganizzazione, di conversione, di crisi aziendale per imprese che devono avere occupato più di 15 dipendenti nel semestre precedente), appare evidente questo andamento: soffre soprattutto la produzione industriale e sono investiti in pieno i settori della meccanica e del legno (lavorazioni meccaniche e mobile imbottito). Peggioramento anche per l’edilizia. Se si isola il dato della sola cassa integrazione ordinaria, appare un quadro anche più fosco: nella meccanica a Forlì le ore sono aumentate del 523%, contro un aumento del 66% della straordinaria. Ricordiamo che gli ammortizzatori ordinari sono il primo tipo di strumento nelle situazioni di crisi. Segnalano l’immediatezza del problema. E’ il segnale più evidente che la crisi di domanda sta dunque ormai mordendo ferocemente le imprese del nostro territorio. Il punto su cui è necessario prendere coscienza, tuttavia, è che non si tratta solo dell’impatto della crisi globale: qui si sta innescando una miscela esplosiva di crisi strutturale che colpisce determinate filiere produttive del territorio (appunto la meccanica ed il mobile) già da qualche tempo (molto prima del 2008), soprattutto imprese di piccole dimensioni, insieme ad una crisi contingente data dall’esplodere della crisi finanziaria degli ultimi 8 mesi. Il mix è esplosivo perché rischia di avere un impatto molto negativo per il tessuto locale nei prossimi anni. Ormai la retorica economica ci ha insegnato che viviamo nell’economia della conoscenza. Per rendere questa affermazione meno vuota di quello che sembra, diciamo che questo significa che il valore principale per essere competitivi sul mercato è acquisire informazioni, saperle elaborare per produrre innovazioni incrementali sui processi e sui prodotti e saperle incorporare nei prodotti, garantendo qualità e velocità nel raggiungere il cliente. In una economia che si basa sul flusso di informazioni e di conoscenza trasmessa, non è indifferente in quale parte della filiera produttiva si trova un’impresa, ovvero se “domina” o meno il processo di acquisizione e trasmissione delle informazioni. Se un territorio può vantare numerose specializzazioni di meccanica, ma queste imprese, spesso di piccole dimensioni, lavorano su idee ed informazioni di altre imprese che magari non risiedono sul territorio, ecco allora che si ha un territorio che fa produzione, ma non produce conoscenza, ovvero non partecipa da protagonista alla creazione di valore di quella determinata filiera. Questo ragionamento ci aiuta anche comprendere perché negli ultimi anni tutte le analisi ci hanno dimostrato che le imprese più strutturate (quelle di medie dimensioni) reagiscono meglio alle pressioni della globalizzazione: sono quelle che riescono meglio a gestire da protagoniste il flusso delle informazioni e della conoscenza. Il mix attuale è esplosivo perché unisce, dunque, una crisi strutturale (di debolezza all’interno delle filiere) ad una crisi di domanda. In una crisi che è bifronte occorre sapere intervenire in parallelo su entrambi i problemi, con la consapevolezza che l’immediato deve suggerire azioni soprattutto a salvaguardia del lavoro e dei lavoratori in cassa integrazione, ma nel medio periodo (ahimé che parola: è quello che non coincide con le campagne elettorali!) occorre lavorare per permettere al tessuto economico di questo territorio di fare un salto decisivo dentro l’economia del XXI secolo. L’analisi si ferma qui. Vogliamo però in questa sede anche azzardare il tipo di risposte che possono essere approntate. Nei giorni scorsi è partito a Bologna un tavolo tripartito tra Comune, Provincia e Regione che non prevede solo misure di attenuazione dell’impatto della crisi attuale ma anche idee di rilancio. Prima di ipotizzare qualche formulazione anche per il nostro territorio, è importante precisare che qui il punto forte da valutare è l’idea del tavolo tripartito! In altre parole, è urgente che si proceda su una strada di progettazione strategica condivisa anche sul nostro territorio. E’ urgente un progetto di politica economica locale. Iniziative parallele o comunque dove non viene preso un impegno formale e sostanziale di aiuto rischiano di esasperare una situazione che richiede invece un vero e proprio sforzo di governance istituzionale, quella governance che a parte le intenzioni, ha sempre fatto fatica a decollare su questo territorio. Ci sono ancora 5 mesi alle elezioni e c’è pertanto lo spazio per un’azione anche politica a riguardo; lasciare tutto il compito all’amministrazioni successive sarebbe abbastanza imprudente. Quali strumenti? Sul lato dell’urgenza: supporto al reddito per chi resta senza lavoro, azioni per la ricollocazione dei lavoratori in mobilita' e dei disoccupati senza ammortizzatori sociali, Anticipazione cassa integrazione. Sul lato del rilancio di medio periodo: agevolazione dell’accesso al credito, attraverso convenzioni ed accordi con le banche locali, incentivi per ristrutturazioni che prevedano abbattimento dei costi energetici ed uso di fonti di energia alternativa, incentivi per la riqualificazione di prodotti e processi in chiave tecnologica. Se esiste, ad esempio, come si racconta da un po’ di tempo un progetto di riposizionamento del territorio sulla meccanica avanzata che può confluire su una futura specializzazione anche a supporto della filiera aeronautica, perché non iniziare da subito a lavorare per l’insediamento di una nuova specializzazione. Fare circolare informazioni ma soprattutto creare fiducia tra le imprese richiede anni. Iniziando subito ci sono possibilità di poter permettere a certe specializzazioni mature del territorio di riconfigurarsi. Ovviamente ci sono già interventi in questo senso. Non si vuole togliere il merito alle associazioni di rappresentanza che si sono già da anni posti il problema dell’intervento strutturale. Il punto vero è la necessità urgente di un vero pacchetto di stimolo locale che agisca contemporaneamente per la difesa e il rilancio del patrimonio produttivo (difesa e rilancio devono essere le parole d’ordine di questo traguardo locale). Ovviamente fare politiche locali in assenza di politiche industriali nazionali degne di questo nome è complicato. Ma sta qui la forza ancora inespressa del livello locale. A patto che tutti gli attori locali abbiano l’interesse di guardare in un’unica direzione. Non vorremmo essere eccessivamente pessimisti, ma lo strabismo locale sarebbe una terza crisi che si aggiunge alle due descritte sopra e che renderebbe tutto molto più difficile. Un piano di rilancio come opportunità politica?

 
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