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Il ritardo della produttività PDF Stampa E-mail

Un appunto sulle dinamiche settoriali e regionali della produttività

Una chiara e lineare analisi de lavoce.info ci riporta al tema mai troppo
affrontato del nostro ritardo di produttività.

L'articolo ricorda che:

"Questi risultati suggeriscono, quindi, che le politiche del mercato del lavoro dovrebbero tenere conto delle differenze interne in merito alle dinamiche salariali e della produttività. Se paesi come la Francia, per esempio, potrebbero ottenere facilmente guadagni di competitività mediante un certo grado di moderazione salariale, il nostro paese sembra avere come unica soluzione la crescita della
produttività. L’alternativa sarebbe la riduzione dei salari reali, un’opzione con costi sociali elevati, che non solo non garantirebbe la crescita e lo sviluppo economico del paese, ma potrebbe avere effetti depressivi sulla domanda aggregata."

Poiché un'esortazione finale dell'analisi è quella di poter iniziare a vedere le dinamiche settoriali e regionali di questo divario, qui di seguito riportiamo una breve analisi effettuata su dati Eurostat.
L'azione di ricostruzione della produttività settoriale e regionale in Europa non è agevole. Un raffronto regionale disponibile si ferma al 2005.

Questa figura  illustra i divari di produttività del settore industriale in Europa a livello regionale nel 2005. Le regioni in blu scuro sono quelle a maggiore produttività. Il confronto tra regioni evidenzia che non tutte le regioni francesi e tedesche hanno una maggiore produttività rispetto, ad esempio, alla Lombardia, che nel 2005 era la regione italiana a maggiore produttività.

Per i servizi, i dati che Eurostat mette a disposizione (come rapporto tra fatturato e occupazione nei servizi) si fermano al 2008. Il confronto tra Italia, Francia e Germania è contenuto nelle due figure, relative rispettivamente ai settori  dei servizi immobiliari e alle imprese  e quello dei servizi ricettivi . Nel primo che è (nella classificazione Eurostat) ad alto contenuto di conoscenza l'Italia è dietro sia a Francia che Germania. Nel secondo (a basso contenuto di conoscenza) facciamo meglio della Germania.

Per una conferma che le dinamiche di produttività hanno nei tre paesi una diversa distribuzione regionale, si è proceduto a utilizzare, sempre di fonte Eurostat, i dati sul valore aggiunto (Gross value added at basic prices by NUTS 3 regions- NACE Rev. 2) e i dati sull'occupazione per livello regionale/provinciale (Employment in 1000 persons by NUTS 3 regions). I dati disponibili e confrontabili si fermano al 2007.

Questa figura contiene il rapporto tra valore aggiunto e occupazione di alcune regioni selezionate (l'esercizio non è esaustivo perché sono state selezionate, per ragioni di sintesi, solo regioni notoriamente sedi di poli di innovazione e manifatturieri). Seppur quindi si tratti di un confronto limitato, la regione dell'Ile de France (intorno a Parigi) emerge come una regione trainante della produttività in Francia. La prima regione tedesca è quella di Mannheim (territorio di Mercedes e Basf). Abbiamo inserito anche regioni olandesi rinomate per l'innovazione (come il Nord Brabant con la Philips).La prima regione italiana (ma dietro alle leader francesi, olandesi e tedesche) è la Lombardia.

Il ritardo delle regioni del centro e del sud Italia è evidente.

Da questo esercizio nasce quindi l'ulteriore esigenza di un approfondimento sulle dinamiche settoriali e regionali della produttività, in modalità comparata a livello europeo.

Che le dinamiche regionali possano avere un peso importante (ma da confermare) nei divari di produttività sembra emergere  anche da un semplice esercizio di misurazione della dispersione della produttivià tra regioni italiane e regioni tedesche (questa volta tutte le regioni NUTS3 dei due paesi): la dispersione (misurata con un coefficiente di variazione) è superiore per l'Italia.

Le ragioni di una minore produttività italiana potrebbero essere quindi essere radicate sia nel modello di specializzazione (a medio-basso contenuto di conoscenza), sia nel problema del divario tra regioni.

Una prospettiva che merita di essere approfondita.

 

UPDATE

La diversa produttività tra le regioni italiane, aggiornata al 2011, può essere ottenuta da fonte ISTAT.

 

UPDATE/2

Non dimentichiamo infine il tema della dimensione di impresa

 

 
Export oltre la crisi PDF Stampa E-mail

Dove esportiamo le nostre macchine?

In questo grafico l'aumento del valore dell'export di macchine e apparecchi delle regioni del Nord dal 2009 al 2012 per area geografica di destinazione.

L'export delle macchine e apparecchi elettronici rappresenta il 39% dell'export italiano. L'80% del valore di questo export proviene dalle regioni del Nord. Il settore a maggiore crescita e più rappresentativo è quello delle macchine (classe ateco CK 28 - impiego generale, speciale, per l'agricoltura, ecc.) in cui regioni come l'Emilia Romagna detengono una specializzazione competitiva a livello mondiale. Dalla crisi del 2009 ad oggi l'export di questi beni si è diretto principalmente fuori dall'Europa, segnalando che alle imprese del settore è toccata la doppia sfida di fare fronte ad una domanda stagnante in Italia e Europa e di dover cercare sbocchi commerciali su paesi lontani (anche culturalmente).

 
L'Europa delle rendite? PDF Stampa E-mail

Un appunto su salari, profitti e rendite

Come ci è stato ricordato si rafforza in Spagna, nel pieno della crisi europea, la disuguaglianza tra salari e profitti.

Questo processo di indebolimento della quota salari sul PIL è già stata messa in evidenza, in un’ottica keynesiana, anche come causa di uno squilibrio sistemico che ha condotto al crollo della domanda (la tesi del mondo a bassi salari).

La figura qui di seguito fotografa l’andamento della quota salari sul PIL (monte salari per addetto sul PIL al costo dei fattori) di Italia, Spagna e Germania.

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  Fonte: elaborazione su dati AMECO

La Spagna soffre di una contrazione più sostenuta di Italia e Germania. Per quest’ultima, il dato va letto non solo alla luce dell'aumento delle retribuzioni nominali, perché in realtà la Germania ha adottato una forte compressione dei salari reali. Questa compressione ha quindi motivazioni diverse, ma un andamento comune e di fatto riduce le opportunità di domanda interna anche nei paesi in surplus. Per la Spagna si tratta dell'effetto anche di una distruzione di forza lavoro e una drastica riduzione delle retribuzioni pubbliche.

Questa crescente divergenza tra salari e profitti si riflette anche nella distribuzione dei redditi. In Spagna nel 2010 oltre un terzo del reddito del top 0,1% della popolazione (chi guadagna oltre 450 mila euro in media all’anno) proveniva da redditi da capitale e capital gains (in Italia la quota per l’ultimo anno disponibile, il 2008, è del 29% e comprende redditi da capitale e rendite).

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  Fonte: elaborazione su dati The World Top Income Database

Una domanda centrale è quanto si reinveste di questa ricchezza accumulata? Qui è complesso fare analisi, sebbene è risaputo che gli investimenti sono deboli.  Una proxy veloce (adottata anche in letteratura) potrebbe essere vedere la quota di ICT sul totale del “capital compensation” (una proxy dell'investimento in innovazione nell'utilizzo di redditi da capitale). Questa quota, nella manifattura, è in contrazione dal 2000, sebbene presenti un valore superiore per la Germania.

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  Fonte: elaborazione su dati KLEMS

In sintesi da questa veloce (e sommaria!) prospettiva la crisi europea appare ancora di più una crisi di disequilibrio (non solo tra paesi ma anche tra fattori produttivi) che si riflette su domanda e investimenti ….(continua).  

 

  

 

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