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SPECIALE: space economy in Emilia-Romagna 

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La spesa militare italiana

Il tema degli F-35 solleva legittimi dubbi sull'opportunità della spesa militare all'interno di una incessante crisi economica.

I dati sulla spesa militare italiana (fonte Banca Mondiale nella figura allegata) mostrano che l'incidenza sul PIL di spese militare correnti e in conto capitale è stata in media con l'Unione Europea negli ultimi 10 anni (nel 2011 in Italia è dell'1,6%). Inferiore alla media europea è la spesa della Germania (per ragioni storiche e di assetto della difesa nel dopoguerra). Superiore alla media europea, le spese di Francia e Regno Unito. Sebbene la spesa militare resti nella media europea, la vicenda degli F-35 rivela piuttosto un'altra debolezza ben inquadrata in questo passaggio da un articolo del Sole 24 ore : "Al di là del costo, già oggetto di polemiche tra il Governo e i movimenti pacifisti, il programma mantiene per l'Italia importanti criticità che riguardano l'utilizzo a regime ridotto dell'impianto Final Assembly and Check-Out (FACO) costruito dall'Italia sulla base aerea di Cameri con un costo di 800 milioni di euro e le incertezze circa le ricadute per l'industria italiana previste sulla carta per 13 miliardi di dollari, pari al 77 per cento dell'investimento italiano ma concretizzatesi finora solo in misura molto ridotta con contratti firmati per appena 650 milioni di dollari." C'è da chiedersi se oltre  la discutibile opportunità di una spesa simile nell'attuale fase economica, non sia necessario affrontare la vicenda anche dalla prospettiva della scarsa capacità di intraprendere programmi di spesa militare che abbiano ricadute sull'industria italiana e dalla prospettiva di quale modello di difesa nazionale occorra mantenere all'interno della cornice europea.immagine.gif

 
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La Cina vista da vicino

Xiang che ci accompagna dall’hotel alla stazione per una manciata di renminbi, racconta che la sua famiglia di agricoltori deteneva diritti su una parte di terra intorno a Fogang, città di 300.000 abitanti prevalentemente agricola, nella provincia del Guangdong. Pochi anni fa hanno deciso di cedere questi diritti a degli investitori per la costruzione di una grande catena di alberghi. E’ così che il loro tenore di vita si è elevato. Si sono potuti permettere una macchina di media cilindrata. Benvenuti nella Cina del XXI secolo in cui il valore della terra è una variabile non secondaria per valutare il potenziale di crescita di intere aree del paese.
Lee, amministratore delegato presso una grande azienda che produce impianti di illuminazione, 1000 addetti a 100 km da Shenzen, si è potuta permettere l’anno scorso di acquistare una casa di circa 80 mq in un complesso residenziale destinato a quadri e dirigenti di azienda, pagando 1,5 mio di renminbi, la metà del prezzo di un appartamento simile a Shenzen (11 mio di abitanti), dove ormai i costi sono tra i più alti della Cina, comunque una cifra inarrivabile per l’operaio medio cinese. Benvenuti nella Cina del XXI secolo in cui i costi di congestione delle grandi agglomerazioni urbane stanno ormai determinando una seconda ondata di urbanizzazione che probabilmente porterà nel giro di qualche anno a nuove e imponenti città.
Xu, operaio della Foxconn, nota per essere l’azienda che assembla gli i-phone, vive con circa 300 dollari di stipendio al mese a cui si aggiunge l’alloggio che riceve dallo stato. Non è tra gli stipendi più bassi della Cina. Benvenuti nella Cina del XXI secolo in cui la forchetta di diseguaglianza tra i pochi benestanti e il resto della popolazione è ormai alle soglie della tolleranza anche per un paese non abituato a grandi dimostrazioni di intolleranza.

Guidando lungo la strada che collega Shenzen con Donguuan  è tutto un cantiere. Gru ovunque e palazzi o alberghi in costruzione. E’ la Cina degli investimenti in capitale fisso.

Una recente analisi del Fondo Monetario Internazionale guarda con apprensione ai livelli di investimento in capitale fisso avvenuti nell’ultimo decennio In Cina e che sicuramente sono stati resi possibili a svantaggio delle famiglie e delle imprese cinesi che in qualche modo hanno “finanziato” questo boom di infrastrutture e alberghi, a svantaggio dei consumi che rimangono ancora molto bassi (circa il 40% del PIL; in Europa e negli USA i consumi rappresentano il 70% del PIL). Il Fondo Monetario Internazionale parla di “over investment”: il classico principio “inizia a costruire i clienti arriveranno”, un modello che in passato ha causato le grandi crisi asiatiche della metà degli anni ’90; in Cina la situazione è diversa solo perché non si fa affidamento su finanziamenti esterni; è una crescita ampiamente finanziata dall’interno. Il sistema di credito ha favorito questo facilitando gli investimenti senza tanti controlli sulla redditività di capitale.

Siamo oggi nel 2013 forse ad uno storico spartiacque del modello di sviluppo che ha caratterizzato la Cina negli ultimi 40 anni e fortemente dipendente sull’export e sugli investimenti in capitale.

Nel suo libro sulle possibili linee di faglia di future crisi globali, Raghuram Rajan indica insieme ad altri possibili elementi di deflagrazione anche il basso livello dei consumi delle famiglie cinesi, dovuto sia all’elevato livello di risparmio per fare fronte ad un welfare assente, sia a causa di redditi ancora molto bassi, frutto dell’alta offerta di manodopera proveniente dalle campagne

Se la nuova dirigenza del partito che si insedia a Marzo 2013 con il nuovo leader Xi Jinping saprà cogliere questa nuova sfida di sviluppo interno è difficile predirlo ora. Ci sono segnali di una rinnovata volontà di incanalare il modello di sviluppo verso una maggiore sostenibilità; il governo sembra anche intenzionato a stringere l’accesso facilitato al credito per timore di inflazione.

Il 2012 si è rilevato un anno di contrazione seppur lieve dell’economia cinese. Le stime finali di crescita si attestano tra il 7,5 e il 7,7. La previsione per il 2013 è di risalita grazie anche ad una ripresa dell’export verso la UE già avvenuta nella seconda metà dell’anno scorso.

In una fase di perdurante contrazione della crescita  e della domanda in Europa, continuiamo a guardare con apprensione e interesse a questo motore dell’economia mondiale. L’effetto volano dei consumi interni difficilmente può agire da stimolo al nostro export, almeno nel medio periodo. Tuttavia, la grande transizione dell’economia cinese, se mai dovesse avvenire nei prossimi anni, probabilmente inciderà anche nella composizione dell’export e dell’import a livello globale, obbligando i paesi occidentali ad affinare maggiormente le proprie strategie di crescita tecnologica e qualitativa dei prodotti.

Nel frattempo si intensificheranno probabilmente le azioni di investimento da parte di imprese cinesi in Europa. Ci sono già esempi di imprese rilevate in Italia.

E’ impossibile attendersi una soluzione ai problemi economici europei dalla Cina nel breve periodo. Ma occorre tenere presente la transizione che il gigante vivrà nei prossimi anni, se si vuole cercare di ampliare l’accesso a quel mercato. C’è ad esempio tutta una attività di potenziamento dei canali di distribuzione del Made in Italy che andrebbe affrontata in una logica di “sistema Italia”. Parte importante della nostra ripresa dipende anche da questi percorsi di valorizzazione globale.

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