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SPECIALE: space economy in Emilia-Romagna 

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       SPECIALE: la macroregione Adriatico-Ionica

 

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Antares su CARTO  

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Antares su Tableau Public

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Are we happy? PDF Stampa E-mail

Happiness and well-being

Confronted with a European crisis with no solution in sight, Europeans worry about their economic present and future.

Who's happy in Europe? If you take a look at the Eurobarometer results on life satisfaction over the last ten years, you will see that the share of Germans satisfied with their life has increased at the same pace and intensity as the share of Italians not satisfied with their life.

This "spread" of happiness is (roughly speaking in consideration of percentage points' difference) four times larger than the financial spread.

Can we assume that happiness always corresponds to the economic situation of individuals and countries?

Yes, but with a cautionary note. Happiness is not well-being. As Nobel prize laureate Daniel Kahneman has recently reminded us in his book, happiness implies an act of remembering and calls into action the more rational part of our cognitive system; well-being is more related with experiences. Surveys with large and reliable samples have shown over the years that money gives happiness, but cannot buy well-being, or at least cannot increase the possibility to buy more well-being over a certain income threshold. It's the Kahneman's update and revision of the Easterlin paradox.

The little big paradox of our times of "reduced expectations" is that, following the happiness/well-being distinction, we could be in a better position to appreciate things and situations that bring well-being, but in terms of life satisfaction, with unemployment looming large, how can we be happy?

 
Siamo felici? PDF Stampa E-mail

Felicità e benessere

Più incede la fase di crisi, più siamo portati a chiederci quale potrebbe essere il nuovo senso di marcia dell'economia. Tra tanti momenti di riflessione che vengono lanciati, ne segnaliamo uno molto interessante.

Secondo l'Eurobarometro, dal 2001 al 2011 la quota di italiani non soddisfatti con la propria vita è aumentata dall'11 al 15%. Nello stesso periodo la quota di tedeschi insoddisfatti è diminuita dal 15% al 10%.

Nel 2011 i tedeschi che si professano molto soddisfatti corrispondono ad un quarto del totale; in Italia un quinto degli italiani si dice molto insoddisfatto.

Se dovessimo paragonare questa differenza allo spread sui rendimenti dei titoli di stato, lo "spread della felicità" sarebbe più ampio (in negativo) di quattro volte rispetto allo spread finanziario.

Peraltro poiché la felicità è correlata alle aspettative, lo spread della felicità resta negativo anche per il futuro.

Possiamo trarre da questo la conclusione che la felicità sia sempre correlata alla situazione economica sia individuale, che di un paese?

In parte si. Ma attenzione. Quando parliamo di felicità e soddisfazione della propria vita, parliamo della valutazione complessiva che si effettua attraverso la nostra memoria. Diversa è la percezione immediata di benessere che accompagna determinate azioni durante l'arco delle nostre giornate. Questa distinzione è al centro del contibuto di Daniel Kahneman, premio nobel nell'economia nel 2002, e al centro di un suo recente libro.

L'esistenza di due sistemi cognitivi (uno più immediato e basato sull'esperienza ed un altro più razionale e basato sulla memoria dell'esperienza) ha importanti implicazioni per il collegamento tra felicità e livello economico.

Numerosi esperimenti, su ampi campioni di popolazione, hanno mostrato che il denaro fa la felicità; ma il denaro, sopra una certa soglia di reddito, non compra l'esperienza di benessere; ovvero superata una certa soglia il denaro non garantisce il piacere delle piccole cose.

E' la conferma di Kahneman al cosiddetto paradosso di Easterlin.

Se sulla felicità possiamo costruire metriche di valutazione ex-post, è possibile allora misurare il benessere? Ci sono alcuni tentativi in corso, ma la difficoltà è data anche dall'esigenza di arrivare a metriche di carattere interpersonale (che confrontino i diversi stati personali di benessere). Nonostante studi in questa direzione (come quelli sul Benessere interno lordo), esistono opinioni discordanti che si possa raggiungere un indice sintetico sul benessere, paragonabile al PIL.

Il piccolo paradosso dei nostri tempi di crisi è che siamo stati (o dovremmo essere stati) riportati dalla realtà ad apprezzare le piccole cose e quindi potenzialmente a migliorare il nostro benessere; tuttavia con l'aggravarsi della crisi e con l'incombere di drammi quali la disoccupazione, come possiamo essere felici? Il problema principale di politiche in tal senso non è aumentare la felicità, ma ridurre disagio e indigenza.

 

 
Un problema strutturale? PDF Stampa E-mail

Il problema della disoccupazione giovanile

 

Nell'Eurozona esiste un problema di competitività che sta mettendo a repentaglio l'esistenza della moneta unica, a cui si aggiunge un problema strutturale del mercato del lavoro, soprattutto nei paesi della periferia. Il divario strutturale è osservabile dalla persistente differenza nel corso degli ultimi decenni di divari sul fronte della disoccupazione giovanile. In Italia Il tasso di disoccupazione dei giovani sotto i 25 anni non è mi sceso sotto il 20% negli ultimi decenni, è in costante aumento a partire dalla crisi del 2008 e ha raggiunto il 36% ad aprile 2012.

L’Italia è ormai prossima ad avere un tasso di disoccupazione giovanile di quattro volte superiore al tasso di disoccupazione della restante parte della popolazione attiva (ovvero quasi 4 giovani disoccupati ogni disoccupato oltre i 24 anni).  

Nonostante l’effetto risulti indubbiamente amplificato dalla crisi (soprattutto per i paesi della periferia) la variabile che sembra incidere maggiormente nell’aumento della disoccupazione dei giovani è un’altra: è l’assenza di sistemi di apprendistato e formazione che tengano in stretto contatto le imprese con chi cerca lavoro. Ci eravamo già occupati di questo problema. Questo tipo di collegamento è attivo, ad esempio, in Germania e questo spiegherebbe, secondo molte analisi, la storica bassa incidenza tedesca di disoccupazione giovanile. 

 

Disoccupazione sotto i 25 anni

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 AGGIORNAMENTO:

Qui, in uno studio della LSE, alcune evidenze comparate sul funzionamento del sistema di apprendistato tedesco

......Però qui un richiamo di un premio nobel contro l'illusione delle interpretazioni "strutturali".

 

  

 

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